Ciao,procede la mia immersione nella cultura americana. Ora sono coinvolto dalla voce straordinaria di Janis Joplin, che mi ha accolto anche domenica sera, al ritorno da un'altra capatina in giornata a New York, approfittando del fatto che un'amica milanese si trovava li' in vacanza. Confermo, NY e' citta' per ogni gusto. Sono sceso dal bus a Times Square, e si stava organizzando la festa del solstizio d'estate, con mega seduta (e' il caso di dirlo) di Yoga nella zona piu' incasinata della citta'...L'appuntamento con la milanese era davanti alla Frick Collection, a mezzogiorno. Per arrivarci ho cautamente fatto visita ad ogni negozio scrauso della fifth avenue, primo tra tutti l'NBA store (non potete immaginare, come se a Roma ci fosse un calcio store con tutte le magliette dei migliori calciatori di ogni squadra, anche firmate, e tutto il merchandise di cappellini, asciugamani, etc.), e i suoi due densi piani.Negli USA il sistema museale e' diviso in musei pubblici e fondazioni private. I musei pubblici non ricevono forti sovvenzioni statali come in Italia. Il costo del biglietto lievita e questo limita l'accesso ai poco abbienti. Il biglietto per il MOMA, di cui vi ho parlato qualche mail fa, costa 20 dollari, ridotti a 12. Le fondazioni private, in quanto tali, hanno invece piu' soldi, e i biglietti costano di meno. Alla Frick collection l'intero costa 10 dollari, ma ci sono all'interno tre Vermeer (su 32 al mondo) e altri capolavori da Tiziano a Degas, passando dal piu' famoso autoritratto di Rembrandt. Non vorrei commentare il fatto che privati possano possedere tale patrimonio artistico (per fortuna alcuni di essi lo rendono pubblico, come appunto Frick, Phillips e Barnes, ma quanti non lo fanno?)Fondazioni e musei pubblici hanno un sistema per cui se tu paghi un tot di dollari (diciamo tra 25 e 50) una volta, come se fossi un socio sostenitore, per tutta la vita avrai accesso gratuito al museo e sconti per chi viene con te. Molti americani acquistano quindi queste membership card che in pratica finanziano direttamente il museo che a loro piace.In attesa dell'apertura del Frick abbiamo fatto un giro a Central Park. Non ci sono parole per descrivere la dimensione di questo parco squadrato; la nostra meta era la terrazza e la fontana di Bethesda, immortalate da tantissimi film. Tutto attorno a questa bella area del parco c'e' un laghetto, e se vuoi puoi noleggiare una barca. C'e' pure un gondoliere (stendiamo un velo pietoso).Lasciato il parco e terminata la visita alla Frick, ci si separa e prendo la metro direzione Ponte di Brooklyn. In se' e' un grosso pontaccione, quasi due km, piuttosto stabile. Sui lati ci sono le tre corsie a direzione per le macchine, in mezzo c'e' il camminatoio per i pedoni. A meta' del ponte la vista sulle due zone di grattacieli di NY e' gradevole. I grattacieli di downtown, dove si trova la city finanziaria e si trovavano le twin towers, poi una zona di edifici piu' bassi e poi i grattacieli che dall'Empire portano fino a Central Park. Se si guarda bene, a sinistra della city si intravede la statua della liberta', quasi minuscola rispetto al panorama di cemento, metallo e vetro dell'isola.Tornato all'inizio del ponte ho ancora tre ore da spendere, e decido di arrivare a piedi a Chinatown e Little Italy, un km in zona tranquilla, almeno fino a quando iniziano i negozi di chincaglieria cinese (dagli occhiali alle vetrerie, alla frutta e al cibo). Un poliziotto mi ha consigliato di andare a Mulberry St. e infatti li' e' il centro della Little Italy storica, pieno di ristoranti, e scusate tanto, mi compro un mega cannolo e lo giustizio sul posto (2.5 dollari, ma ben spesi). Trovo una panchina per proteggermi dalla folla affamata di americani che gia' alle quattro di pomeriggio riempie i ristorantini. E' proprio vicino alla straripante pizzeria Lombardi (che vanta tra i propri clienti anche Lou Reed). Seduto leggo alcune note della guida city book del corriere. Little Italy ha una storia di immigrazione che inizia ancora prima del 1900, ed ha un picco nella prima meta' del xx secolo, quando in 17 edifici della zona vivono 40 mila nostri compaesani, devastati dalla poverta' e dalla tubercolosi che in situazioni di sovraffollamento ovviamente si propaga facilmente. Alzo gli occhi e osservo queste case fatiscenti (ne vedete una nella foto che allego);
mi chiedo come abbiano potuto ospitare cosi' tanta gente in una striscia di citta' cosi' piccola. Eppure e' stato cosi', e il paragone con alcune vie di Torino e' immediato (Via Berthollet, Via Cottolengo, Corso Giulio, Via Saluzzo). Non me ne dimenticavo prima, a maggiore ragione non lo dimentichero' ora.Adesso a Little Italy vivono, in un fazzoletto di una decina di strade, solo 5000 italoamericani, e piano piano China Town la sta inghiottendo.Lascio Little Italy, salgo sul metro direzione Palazzo dell'ONU. Ci arrivo verso le cinque e mezza, il sole lo ha sorpassato e la facciata e' in ombra, ma e' imponente e riflette l'intera sagoma del Chrysler Building (il palazzo avveniristico su cui si arrampica King Kong). Stremato mi dirigo al Rockefeller center, salgo sul bus e divoro la pizza comprata al Caffe' Palermo (che buona, piccantina, col pomodoro e la mozzarella). Il film (Under the tuscany sun, 2003, con Diane Lane e Raoul Bova, vergogna a loro) che proiettano sul bus al ritorno, per mia sfortuna e' un concentrato di luoghi comuni americani sull'Italia e i maschi italiani, con una svampita che compra una villa scassata in Toscana e poi alla fine si integra perfettamente nella zona e fa da mangiare per tutti. La mia vicina quarantenne ovviamente piange copiosamente tanto il film e' commovente. Tremendo...